della Cattedrale San Martino
A ricordo dei 950 anni della Cattedrale di Lucca resta un volume splendido, per contenuti e apparato iconografico. Autorevoli gli autori: oltre a don Mauro Lucchesi, per anni Rettore, il curatore Paolo Bertoncini Sabatini, Timothy Verdon, Raffaele Savigni, Aurora Corio, Clario Di Fabio, Luigi Bravi, Annamaria Giusti, Luigi Ficacci. Le immagini sono di Andrea Vierucci.
"San Martino in Lucca – Storie della cattedrale", è il titolo significativo, edito dalla Publied di Romano Citti & C. sarà presentato prossimamente in più sedi prestigiose. "Attraverso il libro il lettore scoprirà importanti tracce di una vita e di una fede di popolo" (...) "Le parole e le immagini che tengono vivo il ricordo ci trasportano dentro storie piene di echi e di memorie".
Di seguito riportiamo alcuni passi del testo di monsignor Verdon:
A Lucca, come in ogni città europea di qualche importanza, vi è una cattedrale, segno della presenza – in un arco di secoli più o meno lungo – di una comunità cristiana operosa. Tipicamente grandi, queste strutture s’impongono alla coscienza del cittadino come del forestiero, costituendosi quali tratti significativi della fisionomia del luogo. Depositarie d’innumerevoli cimeli del passato, invitano a cogliere l’identità storica degli abitanti e a collegarla allo slancio creativo ingenerato dalla fede; la bellezza degli edifici e dell’arte che li arricchisce, infatti, forniscono chiavi di lettura della vita interiore di coloro che li hanno voluti, costruiti e mantenuti, cifre sicure dei valori collettivi che da due millenni plasmano l’esperienza spirituale d’Europa.
Il primo di questi valori è religioso: quello di un rapporto privilegiato con Dio. Le cattedrali sono emblematiche di questo rapporto perché sono ‹chiese›, ossia case di preghiera per un popolo che si ritiene convocato da Dio: ogni cattedrale simboleggia l’universalità della vocazione cristiana e merita il nome che la Bibbia attribuisce all’antico tempio ebraico: «una casa di preghiera per tutti i popoli». (...) Sono segni permanenti di un rapporto dinamico, che trasforma l’uomo nei suoi rapporti con altri uomini, anzi con ‹tutti i popoli›.
Il carattere cristico della cattedrale a Lucca ha avuto particolare forza per la presenza di un’icona di unica importanza: il Volto Santo, monumentale crocifisso ligneo creduto opera di un testimone oculare della morte del Salvatore. Meta di pellegrinaggio sin dall’ottavo secolo, se non prima, il Volto Santo ha dato a Lucca rinomanza a livello europeo, grazie anche ai mercanti lucchesi che nei vari paesi in cui s’insediavano sempre ne promuovevano il culto. L’enorme immagine – 247 x 297 cm –, che presenta Cristo incoronato e in abito regale, investe di dignità praticamente biblica l’intera città e soprattutto la chiesa a cui è associata, San Martino.
Nel primo periodo documentato, la fine dell’VIII secolo, l’icona segnava l’ingresso all’area della cattedrale. Il vescovo fece costruire davanti alla facciata della San Martino del VI secolo, che la tradizione vuole realizzata da san Frediano, una chiesa col titolo Domini et Salvatoris per accogliere l’icona, su un altare dedicato a san Pietro, Principe degli Apostoli . Significative le tappe del percorso introitale: arrivando, il pellegrino giungeva subito all’icona per vedere la quale era partito da casa, l’immagine veritiera del Signore. La trovava custodita dalla Chiesa universale, rappresentata da san Pietro, cui era dedicato l’edificio contenitore. Poi, andando oltre, entrava finalmente nella chiesa locale dedicata al confessore Martino e contenente la cattedra del vescovo di Lucca.
Nell’805 venne realizzata una seconda chiesa davanti a San Martino, dedicata alla Beata Maria sempre Vergine e (ancora) a Beato Pietro Principe degli Apostoli, con una casa e una corte che servivano da ospedale per i poveri e per i pellegrini. Nei pressi c’erano anche l’archivio capitolare e una scuola della cattedrale, per cui si può parlare di una vera enclave ecclesiastica, arricchita di portico esterno. Nel loro insieme, questi edifici, che rimarranno fino al X secolo, dovevano essere percepiti come una ‹città dentro la città› e forse addirittura come immagine della Città di Dio all’interno della città degli uomini. In ogni caso, la successiva ristrutturazione anselmiana di San Martino, che ingloberà alcune di queste strutture esteriori, assicurerà al tempio un carattere non solo ‹urbano› ma ‹urbanistico›: figura, come ogni chiesa, della Urbs beata Ierusalem, la nuova cattedrale si presenterà anche come ‹struttura reliquiaria› di altri tempi, sintesi e sacramento dell’antica Lucca cristiana.
La solenne consacrazione della nuova cattedrale lucchese, celebrata nel 1070 da Alessandro II con ben ventidue vescovi e numerosi abati e chierici, voleva parlare all’intera Chiesa, non solo alla città e al territorio. E la forma della nuova San Martino, che (secondo fonti posteriori) era a cinque navate con transetto sull’esempio dell’antica basilica vaticana, similmente visualizzava una sorta di translatio dell’autorità ecclesiale da Roma a Lucca . Lo spostamento del Volto Santo all’interno della cattedrale, come la creazione di cappelle e oratori particolari nell’antica San Pietro, rafforzava quest’affermazione di auctoritas. In questa luce diventa leggibile la ricca diversificazione di funzioni intorno a San Martino nel tardo XI e nel XII secolo, con una corte antistante, un ospedale, un’infermeria, chiostri e orti, nonché la strutturazione quasi monastica della vita del Capitolo.
La complessità che contraddistingue la vita della Cattedrale di Lucca nella seconda metà del XII secolo riflette soprattutto il nuovo ruolo nella gestione degli affari e del cantiere dei laici, prima sotto la guida del Capitolo e poi, gradualmente, in autonomia. In effetti la chiesa consacrata da Alessandro II nel 1070 non era stata completata e così i lavori continuarono senza interruzioni, ma entro la fine del XII secolo i poteri d’indirizzo e decisione nella conduzione del cantiere, nelle cruciali fasi progettuali e nella scelta degli architetti e delle maestranze erano in mano alla Fraternita della Santa Croce, i cui ‹operai› si sostituivano ai canonici, realizzando col tempo una netta e radicale divisione patrimoniale, reddituale e di competenze tra l’Opera e il Capitolo; una divisione fondamentale per i successivi sviluppi nella storia dell’edificio.